Benvenuti.

Un caloroso benvenuto a tutti voi, avventori del mio blog. Qui potrete trovare le storie ed i racconti che scrivo, le idee, i pensieri e tutto ciò che riguarda la mia attività di scrittore, in particolare testi di genere fantasy e fantascientifico. Spero che ognuno di voi lasci un commento, una sua impressione, un semplice apprezzamento, una critica o qualsiasi altro parere si senta di dare.
Buona lettura!

lunedì 6 giugno 2011

L'alba della magia

Prologo
Il vento soffiava sulle colline e sulle case della valle, sibilando tra gli alberi  e le rocce del paesaggio desolato. I bambini correvano lungo il letto del fiume ormai prosciugato, seguendo una vecchia palla di pezza che si passavano fra loro. Yonas  si lanciò contro un compagno e gli tolse la palla dalle mani. Muovendosi velocemente  il bambino evitò tre dei ragazzini che si avventarono su di lui, ma il quarto, il più grosso, gli si gettò contro e lo atterrò, mentre la palla rotolava via. Yonas sfilò dolorante  il corpo esile da sotto la mole del compagno e con uno sguardo si accorse che si erano spinti troppo in là, ben oltre il limite che gli era proibito superare.  Il grande muro nero si stagliava contro il cielo, macchiandone l’ intenso azzurro delle giornate estive. Fin da quando aveva memoria, il confine del villaggio era sempre stato il muro, ed era sempre stato proibito avvicinarsi. Le guardie scelte dell’armata reale erano arrivate dalla capitale dell’impero per presidiare il limite molto prima che lui nascesse. O almeno così gli avevano raccontato la sera intorno al fuoco.
<< Yonas!>> lo chiamarono << Vieni via!>>
Il ragazzino gettò un ultimo sguardo esitante alla grande costruzione scura, camminando all’indietro, chiedendosi ancora una volta cosa nascondesse.
<< Yonas!>>
Il bambino si voltò lentamente e si incamminò verso gli amici, quando con la coda dell’occhio scorse qualcosa muoversi oltre il muro. Si pietrificò dov’era.
Gli altri avevano ripreso a lanciarsi la palla e non sembravano aver notato nulla, ma lui l’aveva visto. Un lampo di luce blu aveva squarciato per un istante la parete nera, disegnandovi sopra una ragnatela di crepe grigie, adesso indistinguibile dalle altre che incidevano la superficie.
<< Se non vieni adesso, ti lasciamo qui!>> Gli urlò Gor, il capo della banda.
Yonas ricacciò indietro la paura e corse dietro gli amici, atterrito dalla prospettiva di rimanere solo in quel luogo, ma sapendo che non avrebbe mai dimenticato quella luce blu. Probabilmente nessuno gli avrebbe creduto, e l’avvenimento sarebbe presto diventato parte della leggenda, come spesso accadeva ai luoghi in cui dimorava un mistero.






Capitolo 1
La nuova stirpe
Nessuno seppe mai con certezza il momento esatto. Per quanto studiosi e scienziati di ogni terra abbiano cercato in ogni modo di rintracciarne le origini e riprodurne le condizioni, nessuno, nemmeno io, riuscì mai nell’impresa. Il fenomeno, semplicemente, si manifestò. Molti vedono in esso la prova dell’esistenza di Dio, altri lo riconoscono come il marchio del demonio. All’inizio il consiglio decise di non interessarsene, poiché a quei tempi era circoscritto ad un ristrettissimo gruppo di persone. Donne, bambini e vecchi vennero lasciati in balia delle follie del popolo. Le loro anime vennero affidate al caso e con esse il nostro futuro. Negli anni a venire, quegli uomini e quelle donne che decisero di non dar peso all’evento furono marchiati a vita e perseguiti, costretti a fuggire, a nascondersi tra le vette che sorgono a est delle nostre terre. Quasi vent’anni dopo, i consiglieri si riunirono per affrontare una situazione che era ormai divenuta insostenibile. Da ogni dove giungevano dispacci urgenti, resoconti delle tragedie che dilagavano e mietevano vittime che il nessuno, nemmeno il Re, poteva più ignorare. Il villaggio di Erekan fù raso al suolo dal vento,  Elhsian, la nuova città, nata per ospitare l’ordine guerriero, si era trovata ad affrontare onde più alte delle torri di vedetta ed era stata ridotta ad un cumulo di macerie.  La strada del Nord, che collegava le due metà del paese era stata spazzata via insieme ai molti villaggi che ne seguivano il percorso. Gli uomini toccati dall’evento si riunirono in comunità che vivevano ai margini della società, lontano da ogni altra forma di vita. La gente ne aveva paura, non voleva trattare con loro né merci né cibo. Le donne non uscivano più di casa e i bambini vivevano nell’ombra. Il consiglio stesso  incominciò a temerli, e di conseguenza li perseguitò. Li impiccò pubblicamente, li torturò delle piazze e nelle strade di ogni città, istigandoli a rubare e uccidere per sopravvivere. Al neonato Ordine Guerriero venne affidato il compito di scovarli e sterminarli fino all’ultimo bambino. A migliaia di madri morirono bruciate sui roghi e loro figli vennero soffocati nelle loro ceneri. Fu il consiglio a creare la setta, a scatenare l’odio di quegli uomini contro gli abitanti.
L’alba di una nuova specie fu macchiata dal sangue degli innocenti.
La nostra storia è macchiata dal sangue dei primi maghi che il mondo conobbe.
Dopo anni di ricerche, arrivai a credere di aver trovato, se non la prima, una delle prime manifestazioni del fenomeno che venne poi battezzato Magia.
La nostra storia incomincia in un piccolo villaggio a est di un grande fiume, in una casa avvolta dalle fronde degli alberi.
Una casa in fiamme.




Hel smosse qualche sassolino col piede, raccolse un pezzetto di legno e lo gettò nel fuoco.
Un ragazzo piccolo, dai capelli neri e la pelle olivastra la imitò sorridendole. Era il più giovane del gruppo e di solito appena calava la sera doveva correre a casa, ma quel giorno era rimasto con loro.
<< Glen!>> lo canzonò un altro, tirandogli un sasso << Non scappi dalla mamma stasera?>> Il ragazzo lo evitò con una certa agilità, spostando velocemente il fianco con un gran svolazzo dei capelli scuri.
<< Forse stasera ha troppa paura di tornare indietro da solo!>> lo punzecchiò Briec, uno dei ragazzi più grandi e spavaldi. Effettivamente quella volta si erano spinti molto in là, avevano oltrepassato il fiume e si erano radunati in una piccola radura con un grande masso grigio al centro, vicino al quale avevano acceso il fuoco. Poteva essere difficile tornare indietro senza perdere la via, e la foresta di sera poteva incutere molto timore, con le lunghe ombre degli alberi simili a mani artigliate e gli strani versi degli uccelli notturni.
Glen si strinse nelle spalle, come a dire che non gli importava di quel che pensavano. Hel inclinò la testa da un lato e lo fissò di sottecchi. Molte volte si era chiesta che cosa c’entrasse lui in quel gruppo. Non lanciava stupide sfide a chi si arrampicava sull’albero più alto o chi  lasciva il segno più profondo nella corteccia lanciando sassi, ne rispondeva a quelle degli altri. Si avventurava con loro nelle esplorazioni della foresta, ma rimaneva sempre in disparte e non si distingueva in nessuna delle strane abilità che gli altri ragazzi lodavano.
Semplicemente, stava li con loro. In quel momento il ragazzo alzò gli occhi e incrociò il suo sguardo, soffermandovisi per un momento. A Hel sembrò di vedervi una scintilla di ammirazione, ma subito il ragazzo lo distolse e tornò a fissare il fuoco. La sera trascorse tranquilla, tra le battute e le risate dei ragazzi attorno alle fiamme. Lentamente i ragazzi tornarono a casa, mentre il gruppo  rimasto in cerchio nella radura si spezzava. Rimasero solo in quattro. Lei, glen, Briec e un'altra ragazza di cui non conosceva il nome, che si affrettò ad appartarsi con l’altro ragazzo, lasciandola sola con Glen. Hel si alzò, imbarazzata, e fece per andare a prendere un altro ciocco di legno dalla catasta, ormai povera, ammonticchiata li vicino. Lo gettò tra i rimasugli delle braci e le poche fiamme residue e decise che era ora di tornare a casa anche per lei. Voltò le spalle al ragazzo e si incamminò verso il fiume, ma non aveva fatto tre passi che sentì una mano stringere la sua. Si voltò e vide Glen sorridere a pochi centimetri dal suo volto << Credo che questo sia tuo.>> le disse, stringendo nell’altra mano una collanina sollevata all’altezza degli occhi. Il piccolo pendente a forma di tronco d’albero che portava sempre tra i seni dondolava leggero . Lei lo prese al volo, ma il ragazzo non lo lasciò.
<<Grazie.>> mormorò sorpresa, sbattendo le palpebre. Per qualche istante rimasero così, immobili, con le mani intrecciate e i visi così vicini da poter sentire il respiro  l’uno dell’altra sulla pelle. Poi Glen lasciò il ciondolo e si voltò lentamente, incamminandosi per la sua strada. Hel attraversò il vecchio ponte di legno sul fiume e percorse lo stretto sentiero che portava fino alla casetta dove abitava, in una piccola radura circondata dalla vegetazione. Era stranamente scossa. Il comportamento di Glen era insolito, ma in qualche modo … gli era piaciuto. La ragazza tentò di ricordare il colore dei suoi occhi, ma non vi riuscì, era troppo buio per riuscire a distinguerlo al chiarore del solo fuoco. Pose la mano sulla vecchia maniglia in legno scuro ed entrò, lasciandosi alle spalle un debole odore di bruciato e una sottile colonna di fumo grigio e denso. Cercò il suo letto e vi si sdraiò, scalciando via gli stivali. Chiuse gli occhi e pensando al ragazzo dagli occhi misteriosi e i capelli scuri, si addormentò.

<<Helorien!>>.
La ragazza strinse gli occhi, lottando contro l’istinto di svegliarsi.
<< Helorien!>>
Si concentrò sulla sensazione di benessere che provava e ne cercò il motivo tra i ricordi offuscati, cercando di afferrare l’ultima immagine che le turbinava nella mente. Poi si ricordò di dover andare a prendere l’acqua dal pozzo e di colpo la gioia svanì. Si tirò a sedere sul bordo del letto e strofinò gli occhi impastati. Si strinse i capelli in una momentanea crocchia sulla testa e poi li rilasciò cadere sopra le spalle. A differenza della maggior parte dei suoi conoscenti, li aveva di un castano chiaro e leggermente mossi. Si vestì, infilò controvoglia gli stivali del giorno prima e fece velocemente colazione con del frumento e un po’ di latte fresco, poi recuperò il secchio quasi vuoto da dietro la porta e si avviò verso il pozzo.
Quando richiuse la porta dietro di sé, sgranò gli occhi. Un alone nero e scuro ricopriva la maniglia, come se fosse stata bruciata. Immaginò che fosse uno scherzo di qualche compagno e cominciò a masticare sottovoce imprecazioni contro di loro, quando si accorse che l’alone aveva la forma di una mano.
Senza pensarci, avvicinò la mano tremante alla maniglia e la sovrappose alla macchia. I bordi coincidevano con il profilo delle dita. Sentì il cuore sprofondare nel petto con una fitta e fu in quel momento che la maniglia prese fuoco. Le fiamme l’avvolsero e la ragazza indietreggiò, inciampando e cadendo all’indietro, spaventata ed eccitata allo stesso tempo. Lanciò rapida un occhiata al fondo del secchio, si rialzò velocemente e svuotò tutta l’acqua che le restava sulla porta, domando il piccolo incendio. Un brivido le corse lungo la schiena e all’improvviso sentì freddo. Prese il secchio e scappò verso il pozzo, senza pensare, senza sapere che alla sua casa e alla sua famiglia restavano solo quattro minuti di vita.
 










domenica 22 maggio 2011

I Rinnegati. Parte IV

Lentamente dischiuse la mano, mentre una luce bianca e pura filtrava dagli spazi tra le dita e gocce di sangue le correvano lungo il polso. All’estremità di ogni dito le unghie si erano allungate a dismisura, diventando lunghe e ricurve come quelle di un lupo, fino a lacerare la carne del palmo, che ora era costellata da piccole stelle rosse e scure.
All’improvviso la ragazza si voltò. Era tornato. Dalle ombre scure ai piedi degli alberi balzò il cacciatore, talmente veloce da confondersi con le stelle. Troppo veloce. Rigel lo sentì arrivare, percepì il suo odore pungente nell’aria mentre si avventava su di lei. Si lasciò cadere a terra mentre una fitta al cuore le toglieva il fiato. Chiuse gli occhi, incapace di reagire. Ma il dolore non arrivò. Al suo posto un rantolo rabbioso e un ululato cupo e intenso. Lentamente aprì gli occhi, incredula.
Un uomo con indosso una lunga tunica nera troneggiava su di lei, le mani rivolte verso il cacciatore steso a terra. Era morto?. In quel momento l’uomo si voltò, abbassandosi sulle ginocchia per raggiungerla. La ragazza trattenne il fiato. Portava la maschera del leone.  Che significava? Non ne aveva mai vista una simile, ma sapeva che i maghi degli altri paesi portavano altri animali.
<< Stai bene? >> La sua voce era bassa e melodiosa. Le tese la mano e lei notò che vi erano incisi sopra simboli e disegni con inchiostri rossi e neri. Magie? Rituali? L’afferrò e lui la tirò su, sorreggendola.
<< Chi sei?>> Che stupida. Neanche lo aveva ringraziato.
<< Il tuo salvatore?>> Rise. Non sembrava affatto preoccupato o scosso dall’evento. Rigel cercò il suo sguardo lui lo distolse quasi subito, chinandosi a raccogliere alcune cose che le erano scivolate di tasca quando si era buttata in terra. La tunica che all’inizio le era sembrata nera in realtà brillava di un blu cupo ornato da striature dorate. Una stoffa costosa. La ragazza lanciò un occhiata furtiva al lupo e l’uomo se ne accorse
<< L’ho stordito. Non è morto.>> la rassicurò << Non avrei mai..>> La frase rimase sospesa nell’aria gelida, mentre lui si rialzava stringendo tra le mani la sua maschera del lupo. Alzò lo sguardo, incredulo.
<< L’hai rubata?>> Il suo tono si era fatto gelido, aveva perso ogni musicalità. << Rispondi.>> Intimò.
Rigel rimase in silenzio, troppo spaventata per aprire bocca. Cosa avrebbe pensato un mago davanti alla sua scelta? L’avrebbe approvata? O più probabilmente disdegnata?
<< Rispondi!>> Ripetè, stavolta più forte. Il lupo emise un verso stridulo.
<< Io…no…>> Balbettò.
<< Sei un assassina? Una ladra?>> A ogni parola la voce saliva. << L’hai rubata da un accampamento? Hai ucciso chi la portava?>>
<< No!...non l’ho rubata!>>
<< Allora come fai ad averla? >> Ormai il suo sguardo avrebbe dato fuoco al ghiaccio. << Come?>>
La ragazza indietreggiò, spaventata << E’ mia.>> sussurrò.
L’uomo si adirò << Bugiarda! Solo i cacciatori la portano e tu chiaramente non lo sei!>> Urlò nella notte.
Rigel abbassò la testa e chiuse gli occhi. Le spalle fiere ed orgogliose si abbassarono.
<< No, non lo sono.>> ammise. << Ma lo sono stata.>>



venerdì 15 aprile 2011

Yard

Uno dei rarissimi testi che non riguardano il fantasy & co. ma piuttosto l'ambiente underground di NY.
Esperimento per la prima persona



Eccomi qui. Tre di notte, appena fuori dal deposito. Piede appoggiato contro il muro, scaldacollo tirato su fino al naso, zaino sulle spalle. La strada è deserta, il lampione davanti a me è spento. Qualcuno ha rotto il vetro con un sasso. Mi accendo una sigaretta e aspetto. Intanto mi guardo un po in giro, assaporo l'atmosfera della città di notte. La saracinesca del negozio dall'altro lato della strada è coperta di graffiti, quella del negozio accanto l'hanno sollevata col piede di porco qualche anno fa e si sono rubati tutto. Adesso la vetrina è rotta, la porta è buttata a terra. si sono portati via pure i mobili. Mi alzo lentamente e scrollo le spalle. Sento le bombolette fare clak-clak tra di loro. Le pallette per non fare i grumi ti fottono sempre, se non ti porti le calamite. Tiro fuori il fogliaccio tutto lercio con la mia bozza e me lo guardo per un po per passare il tempo. La conosco a memoria, non è la prima volta che la faccio. Ma me la porto dietro lo stesso. E' una specie di portafortuna adesso.Finalmente, quando penso che sto per morire di freddo, ecco che esce dall'angolo la macchina di luke. E' quella rubata, senza la targa, ma a nessuno frega niente. Scende dall'auto e prende lo zaino dal sedile affianco. Ci guardiamo e facciamo si con la testa. Ci basta questo per capirci. Mette le mani a sedia e aspetta. 
Eccola qui. Quella per cui lo faccio. Sento l'adrenalina salire e mi faccio coraggio. Metto il piede sulle mani di luke e scavalco il muro, poi lo aiuto a salire su. E insieme ci lasciamo cadere tra l'erba alta. 
Ho ancora la sigaretta tra le labbra.La butto a terra ancora accesa e la schiaccio con il piede.Alzo lo sguardo. 
Vedo le sagome dei treni lontane, controluce. 
Siamo dentro.

Dakars

Idea molto vaga sul demone della paura

Alek chiuse gli occhi e respirò profondamente. Stava arrivando. Rinfoderò la spada e cercò di rimanere calmo, mentre le parole dell'amico gli correvano veloci nella mente.
Non poi fuggire da un Dakar, non se lo hai davanti. Quando appare, devi combattere. 
A distanza di anni quelle parole risvegliavano in lui gli stessi brividi di quando avevano combattuto la grande guerra.
Quando senti che arriva, riponi la spada, chiudi gli occhi e apri la mente.Il puzzo della creatura si manifestò prima ancora del corpo: un odore di marcio talmente forte da far girare la testa.Il ragazzo storse il naso e si concentrò, visualizzando mentalmente il volto di Aedan.
Un Dakar è un demone della paura. Un Dakar è la paura stessa. Metti da parte tutto ciò che sei e concentrati solo sulla paura: devi lasciare che ti avvolga, che ti prenda con se.
L'aria si era fatta pesante, impregnandosi di un' atmosfera cupa e fredda. Alek socchiuse un occhio e scorse il demone a pochi passi da lui. Non aveva una forma definita, era un ammasso di budella e sangue mescolati insieme a roccia e membra umane.
Non puoi fuggire dalla paura, perchè lei fa parte di te. Sa dove trovarti, come farti cadere. Lei sa chi sei. E tu?










La leggenda del cacciatore.

Questo è un racconto piuttosto recente, il genere è fantasy, non è ancora concluso.



Rigel si muoveva in silenzio, con circospezione, ignorando  il tanfo che impregnava l’aria. Svoltò nella fetida stradina seminascosta dalla notte , attenta che nessuno la seguisse. Funghi e muffe si rincorrevano lungo le vecchie pareti di mattoni, fino ai tetti delle case distrutte dalle intemperie. Un calcinaccio si staccò e cadde rumorosamente in terra, frantumandosi in mille schegge affilate.  La ragazza evitò i cocci e giunse in fondo alla strada. La sudicia porta che aveva inseguito per mezza città la attendeva semi scardinata e per una buona metà intaccata dalle tracce del fuoco. Vi pose una mano sopra e si sorprese nell’accorgersi che tremava. Una volta entrata i cacciatori avrebbero saputo chi era e cosa aveva intenzione di fare. Sapeva bene di aver scelto la via più veloce, e con essa i pericoli che comportava un incursione diretta.  Poi, all’improvviso, una fitta lancinante gli attraversò la testa da una tempia all’altra, come se una saetta l’avesse colpita. La vista gli si appannò e la stradina  avvampò di luce bianca. La ragazza si costrinse a rimanere in piedi, ignorando il dolore. Aveva il fiatone. Gocce di sudore le attraversavano il viso, miste alle lacrime che le rigavano le guance. Una gocciolina cadde a terra. Si portò le mani alle orecchie, ma fu inutile.
Il rumore fu assordante. Come se un intera tribù battesse i tamburi nelle profondità di una gola. Il rimbombo la stordì e cadde in ginocchio, mentre il cielo scuro lasciava scappare un fulmine dalle sue terre.
La ragazza strinse i denti e tremò di paura mentre il suono le scuoteva le ossa .  Per parecchi minuti rimase ansante sdraiata nella polvere, mentre si stringeva il braccio sinistro al petto. Quando sentì di potersi rimettere in piedi, si esaminò il braccio con aria esperta. Una lunga fasciatura  bianca correva lungo tutto l’avambraccio e saliva fino alla spalla, macchiata da un alone scuro e umido. La ragazza ci fece scivolare sopra il dito e lo ritrasse di un colore simile al tramonto del sole sul mare. Si alzò in piedi e  lasciò cadere la manica. Respirò profondamente, ignorando l’odore di marcio che inalava ogni volta. Pose la mano sopra la porta, e questa volta entrò.
La accolse una stanzetta buia e spoglia, senza finestre. Un unico tappeto marcio colorava l’oscurità con una sfumatura rosso scuro. La ragazza strizzò gli occhi per abituarsi al buio e scorse un uomo seduto su un vecchio sgabello tarlato, appena prima di una porta in condizioni non migliori di quella d’ingresso. L’uomo sussultò e si tirò su poggiandosi su qualcosa che Rigel non fu in grado di riconoscere, probabilmente un bastone. –Vieni. -  sussurrò con una voce cavernosa, facendole cenno di avvicinarsi con la mano – vieni da me…
La ragazza decise che doveva essere molto anziano: Non avrebbe potuto farle nulla, neanche nelle sue condizioni. Mosse qualche passo verso di lui , mentre il vecchio frugava nelle tasche in cerca di qualcosa. Quando ormai l’aveva raggiunto l’uomo estrasse dalle pieghe della veste un grosso mazzo di chiavi in ottone e incominciò a trafficare con la serratura della porta. Solo allora Rigel si accorse che si era alzato poggiandosi su di una vecchia spada rugginosa .
- Vieni- ripetè  – entra, entriamo-.  La ragazza varcò la soglia per prima e si ritrovò in un ambiente ancora più buio. Il vecchio zoppicò oltre la porta e la  richiuse dietro di se, chiamando il suo padrone a voce così bassa che Rigel non distinse le parole. Come dal nulla due macchie grigie apparvero nell’ombra, Immobili come due stelle nel cielo. Poi il vecchio parlò
- Questa è Rigel , padrone. Figlia di Edhel e Uria.
La ragazza sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene.
- Come lo sai?- lo aggredì- Che cosa sei?-
- Io sono solo un vecchio. – replicò- Ma so cosa desideri, sento ciò che pensi nella mia testa , nella mia testa. Lo sento.
- Sei un rinnegato.
- Lo sono. E tu lo sapevi da quando hai accettato di venire qui. Lo sapevi da prima. Lo sono. Lo sapevi.- gracchiò-
La ragazza si costrinse a non scattare verso di lui con in mano un pugnale. Non era possibile discutere con qualcuno che conosceva tutte le risposte in anticipo, ed era quasi certa che la vecchiaia  gli giocasse qualche brutto tiro, a giudicare da come ripeteva spezzoni della stessa frase. Voltò la testa verso le due macchie grigie, sforzandosi di capire se fossero un gioco di luce oppure no.
- Non lo sono. Non lo sono- rise il vecchio. Solo allora Rigel capì che erano occhi.
- Occhi che da molte lune non vedono più. Occhi da lupo che non vedono, che non seguono più la preda tra le ombre della foresta!  L’orgoglio è morto. L’onore con lui! Soltanto la vista che più non vede vuole curare il mio signore.- cantilenò.
La ragazza distinse allora le forme dell’uomo a cui appartenevano gli occhi da lupo.
- Il mio signore chiede se hai portato la maschera.- disse il vecchio – Se hai con te ciò che chiede come prova di chi sei stata.
Rigel si portò una mano dietro la schiena e slegò i lacci che tenevano legata una maschera al suo corpo. La rimirò per un attimo tra le mani, perché perfino in quel buio l’argento splendeva come di luce propria.
Il vecchio scattò per prenderla ma la ragazza gli mise una mano sul petto e lo spinse indietro con tanta forza che l’uomo cadde e rotolò in terra tra mille svolazzi del mantello.
- Perché la vuoi?- chiese all’uomo cieco
- No, mia signora. No. Il padrone non parla. Non più.- replicò il vecchio alzandosi a fatica
- Perché?
- Il padrone non può!- rise- Il padrone ha scelto di non parlare mai più! Non con la nostra voce! Sarò io a parlare per lui!
Rigel si avvicinò all’uomo e gli porse la maschera dalle fattezze di lupo, aspettandosi che la prendesse.
- Non può ! Non può! Al traditore è proibito toccare.- strillò il vecchio, mentre la ragazza riabbassava la mano e si portava la maschera sul fianco.
- Io so cosa cerchi- disse il vecchio. Questa volta Rigel seppe che non era lui a parlare, ma l’uomo cieco. – E posso indicarti la via. Tu voi entrare nell’Ordine.
-Si. È questo che voglio.- ammise lei.
- E sai quali scelte comporta?- chiese- No?
La ragazza rimase in silenzio, mentre guardava quegli occhi grigi che non potevano vederla.
- Molte lune fa io ero un cacciatore, uno dei migliori guerrieri dell’esercito, un mercenario votato alla guerra e a nient’altro. Avevo perso la mia famiglia a causa della peste e credevo di non avere più niente da perdere. Mi restavano soltanto la guerra e la spada, perché non sapevo fare altro. Combattei finchè non diventai il migliore e il Re mi mise a capo del suo esercito. Ma il vuoto che avevo nel cuore non si colmava ancora: avevo bisogno di uccidere, di fare del male al mondo intero ,che mi aveva portato via tutto ciò che amavo. Così decisi di fare ciò che tu stai per chiedermi. Andai dall’Ordine e chiesi di essere ammesso.
Sostenei la prova: ritornai dalla foresta vittorioso e scelsi il mio premio come ogni uomo è degno di fare.
Sai di cosa sto parlando?
La ragazza annuì. Sapeva che avrebbe dovuto sostenere una prova, ma le sue conoscenze finivano li.
- E sai a che prova mi riferisco?.
Stavolta Rigel mosse la testa in un cenno di diniego, e una risata soffocata riempì l’aria attorno a loro. Il vecchio rovistò freneticamente in una vecchia sacca di cuoio bollito gettata in un angolo e ne estrasse cinque pietre grigie e levigate che dispose in un arco intorno a loro.
- Cosa fai?- chiese la ragazza, sospettosa, mentre l’uomo continuava ad aggiustare le pietre e a tracciare simboli astrusi con quella che sembrava una coda di volpe.
 Il vecchio rispose senza quasi respirare - Traccio il destino signora, il primo rito, la prima scelta che il caso reclama di sua proprietà, la prima parte della prova che la signora dovrà affrontare se vuole diventare un cacciatore.
All’improvviso l’uomo si immobilizzò, come se avesse visto qualcosa di spaventoso; poi scrollò la testa e l’uomo cieco riprese a parlare attraverso di lui – Ogni rituale è composto da tre parti. Il primo viene compiuto dal destino e non  abbiamo alcun potere su di esso. Ogni Mago affida la sua vita al caso quando adopera la sua forza e non può fare altrimenti; Il secondo è compiuto dalla natura, che deve acconsentire alle preghiere del misero uomo che intende sfruttarsi di lei e accettare il  dono che il mago le offre; Il terzo è compiuto dal Mago, che deve saper contenere le forze del caso e del creato il più possibile, in modo che il rito si compia nella quantità e nella direzione da esso desiderata.
La ragazza annuì. Questo lo sapeva.
- Per diventare un cacciatore- esordì l’uomo- devi affidare la tua vita al caso. Devi fidarti di ciò che Dio ha in serbo per te e devi accettare qualunque cosa ti venga imposta.
Per la prima volta l’uomo cieco si alzò e zoppicò fino al margine del cerchio di pietre appena creato. Si inginocchiò lentamente e pose la mani a terra, interrompendo la linea bianca che univa le due pietre più vicine . Cinque archi scarlatti illuminarono la stanza buia , ferendo gli occhi della ragazza che si sforzava di guardare in volto l’uomo che non poteva più parlare ne vedere. Era giovane. Lunghi capelli neri gli danzavano intorno al viso bruno e grandi tatuaggi si intrecciavano intorno alla linea delle labbra, sulla fronte, sugli zigomi alti e fieri fino a raggiungere le spalle possenti. Poi la sua attenzione si concentrò sulle soglie di luce intorno a lei.
- Cinque cacciatori regnano sulla nostra terra. Cinque anime fiere che vivono oltre queste porte: Lupo , Aquila, Falco, Orso, Orca.  Tu dovrai sceglierne una soltanto.
La ragazza fissò i grandi occhi grigi dell’uomo e pur sapendo che non potevano vederla capì che lui sapeva che lo stava guardando. Non era un semplice uomo: era un cacciatore del Lupo.
La ragazza passò in rassegna i cinque archi perfettamente identici e comprese che avrebbe dovuto scegliere ad occhi chiusi.
- Chiunque saprebbe scegliere sapendo qual è la strada che percorrerà, ma solo un vero cacciatore sa seguire il suo istinto senza dubitarne.- annunciò l’uomo Lupo, confermando la sua idea. – Scegli , adesso.
Rigel incassò il primo colpo, scoprendo che nessuna delle porte le procurava stimoli particolari o sensazioni differenti. Era il segno che lei non era pronta per essere un cacciatore? O  forse nessuno sentiva ancora nulla a quel punto del rito? Dopo parecchi minuti di angoscia, passati nel cercare di cogliere un segno, una figura tra le ombre scarlatte o una luce particolare si rassegnò e ne scelse una a caso, portandosi appena prima della soglia rossa. L’uomo Lupo annuì, come in segno di approvazione. Rigel incominciò a tremare.
-Ora attraverserai quella porta e ti troverai nel regno del cacciatore che hai scelto. Ciò che devi fare è trovarlo e  catturarlo, ma senza ucciderlo. Dovrai riportarlo qui senza far cadere una goccia del suo sangue. Se lo farai, lo saprò.- sussurrò il vecchio con la sua voce cavernosa. La ragazza mosse un passo e poggiò il piede oltre lo specchio di luce rossa. Era liquido e appiccicoso.
-Rigel.-  la chiamò . Lei si voltò verso di lui,sperando in qualche altra informazione che le fosse utile, un consiglio, un indizio.
- E’ la tua unica occasione per diventare un cacciatore.
- Cosa  succederà…se dovessi fallire?
- Non potrai più tornare indietro.- le mormorò il vecchio quasi con dispiacere, mentre le labbra dell’uomo Lupo si stringevano in segno di disapprovazione. Quale dei suoi amici aveva fallito? O forse era lui stesso ad aver infranto il rituale rimanendo cieco e muto?
La ragazza si fece coraggio e  alzando fiera lo sguardo verso l’ignoto, mosse un passo in avanti.
Rigel rabbrividì, mentre il liquido rosso e gelato le si appiccicava addosso, facendo presa sulle braccia nude dai gomiti  fino alle spalle, sui vestiti e sul viso. Chiuse gli occhi e trattenne il fiato, escludendo l’aria densa e rarefatta che si respirava li. Poi sentì caldo e il liquido scivolò via, rimanendo nel suo regno di ghiaccio mentre lei veniva catapultata nel mondo reale. La ragazza scorse un cielo nero, spezzato da fiotti di luce grigia e smorta. Poi qualcosa la colpì in testa e il cielo scese su di lei,  avvolgendola come un mantello.
Rigel abbassò lo sguardo sul braccio destro. Uno strano marchio circolare si dipanava in mille bracci differenti e in ogni direzione, allargandosi sempre più, risalendo la sua pelle nuda fino alla spalla e scomparendo sulla schiena, per poi ricomparire sul collo e da li su fianco sinistro fin sotto il seno piccolo e sodo, appena sotto il cuore. Seguì  con gli occhi le linee taglienti e spigolose fino al palmo della mano chiusa a pugno, finchè scoprì che stringeva qualcosa. Una goccia scura sfuggì alla sua stretta e le colò lungo il polso.
La ragazza aprì la mano, e si svegliò.
Odore di terra, freddo e pungente. Vento  sulla pelle nuda, gelo lungo la schiena. Aprì gli occhi lentamente, analizzando il mondo sfocato intorno a lei, colorato di tonalità scure e glaciali. Suoni di alberi che frusciano, e di prede che corrono lungo l’argine del grande ghiaccio poco distante.
La ragazza si alzò in piedi tremante, stagliandosi nella nebbia d’argento che avvolgeva ogni cosa.  Si portò una mano alla nuca, ma non trovò nulla. Niente sangue, ne gonfiori. Aveva immaginato anche il colpo alla testa? Il filo dei suoi pensieri si perse nel suono ritmico delle zampe che battevano la terra ghiacciata. Ma lei come faceva a saperlo?  Rigel cercò di riprendersi e controllò se quel poco che aveva portato con se era ancora al suo posto. Poi sentì qualcosa. Un odore, come di marcio. Un odore forte e sgradevole si muoveva sempre più veloce nella sua direzione. Alla fine si arrese e smise di cercare di ignorare ciò che sentiva. Chiuse gli occhi e si lasciò andare al solo olfatto.  Un senso di oppressione allo stomaco, di confusione, aleggiava nella notte mentre le prede correvano tra i tronchi dei grandi alberi verso di lei, sempre più vicine, sempre più in fretta. Ma poi colse nell’aria una leggera sinfonia di odori caldi e rassicuranti , e in contrapposizione a questi nuovi stimoli riuscì a capire. Tremò quando comprese di sentire l’odore della paura. Poi aprì gli occhi e vide il cacciatore volare nell’aria verso di lei. Respinse il primo impulso di combatterlo e si lasciò cadere a terra in ginocchio con la massima rapidità possibile, sperando di evitarlo.
Il lupo balzò oltre e ricadde all’estremità della radura con una grazia stupefacente, riprendendo a correre nel istante stesso in cui toccava il suolo . Rigel si alzò in piedi, raccolse le forze e incominciò a correre tra gli alberi , lontano da qualsiasi cosa fosse in grado di spaventare il più fiero cacciatore della foresta. Corse oltre le rocce e i tronchi caduti, tra le radici e le spine, ignorando i graffi sui polpacci. Corse finchè non le si parò davanti il maestoso spettacolo di un lago di ghiaccio in tutto il suo bianco splendore. Si fermò , senza fiato , sull’argine estremo di una collinetta di roccia circondata dalle acque di pietra. Lontana dal pericolo la ragazza di lasciò cadere a terra una seconda volta, stremata. Cercò di placare il respiro affannoso pensando ad altro, ma rivide soltanto se stessa nella radura, poco prima di riconoscere l’odore intenso della paura del lupo. Si portò le mani alla testa e tentò di tenere a bada le informazioni che sembravano sbattere con tutte le forze  contro le ossa dentro al cranio. Il suo cacciatore era il lupo. Aveva perso i sensi senza un motivo apparente, sognandosi nuda e ricoperta di strani marchi neri sulle braccia e sul corpo, mentre stringeva in mano qualcosa che non conosceva.  Svegliandosi aveva avvertito la paura del cacciatore nell’aria  e il suono delle sue zampe che correvano veloci nella foresta.  Una lacrima solitaria le rigò la guancia e cadde a terra.
Rigel strinse gli occhi e ricacciò indietro il timore, sforzandosi di ragionare. Poi, all’improvviso, si accorse di avere qualcosa nel pugno.
non è possibile. 
Lentamente dischiuse le dita, mentre una luce bianca e pura filtrava da ogni vuoto e gocce di sangue le correvano lungo il polso. All’estremità di ogni dito le unghie si erano allungate a dismisura, diventando lunghe e ricurve come quelle di un lupo, fino a lacerare la carne del palmo, che ora era costellata da piccole stelle rosse e scure.

Le croci gemelle.

     Questo racconto è piuttosto vecchio, credo risalga a qualche mese fa. Il genere è fantasy.                                                                      

     Sidera Crux
Mizar  riemerse dall’acqua gelida un attimo primo che il varco di ghiaccio si chiudesse. Inspirò a pieni polmoni  e si issò sulla roccia bagnata,  Intorno a lui solo l’oscurità e il rumore delle acque del lago. Il ragazzo protese la mano e le dita toccarono una parete irregolare, fredda.
<<Alcor?>>chiamò. La risposta fu solo l’eco della sua voce. Doveva essere uno spazio molto piccolo. <<Alcor!>> Ripetè << Lo so che ci sei!>>. Le sue parole vibrarono nell’aria e rimbombarono più e più volte.  Il ragazzo imprecò a mezza voce e incominciò a tastare cauto la parete a cui era appoggiato. Camminava lento, rasente al muro. Voleva evitare di assaporare nuovamente il gusto dell’acqua del lago. Come diavolo è passato lui? Si chiese. All’improvviso, qualcosa di diverso dalla muffa umida. Qualcosa di asciutto, poroso, caldo.
<<Legno…>> mormorò.  Non osava credere in tanta fortuna. << Legno…>>ripetè<< Manca solo….>> Infilò le mani nelle tasche e rovistò freneticamente, in cerca della pietra scura che portava sempre con se da quando era diventato un membro del popolo, ma non trovò nulla. Doveva essergli caduta nuotando. Un'altra imprecazione scivolò nel buio. Il ragazzo strinse forte ciò che sembrava essere legno e lo tirò a se. Un raggio di luce sbocciò tra le tenebre e una debole fiamma prese vita intorno al ciocco di legno tra le sue mani. La luce gli ferì gli occhi, ma Mizar si sforzò di non serrare le palpebre. Fuoco eterno . Ne rimanevano pochissimi esemplari, e da quel che ne sapeva lui, il Re li possedeva tutti. Poco a poco dall’ombra emersero i confini di un piccolo spazio chiuso circondato dalla nuda roccia.
<< Una grotta sotto il lago…>>sussurrò. Gli occhi corsero veloci lungo le pareti, cercando una via d’uscita che non fosse l’acqua nera che sciabordava ai suoi piedi. Nulla. Neanche la più piccola crepa segnava la pietra a indicare un passaggio. Soltanto una grande croce disegnata sulla roccia con piccoli solchi bianchi interrompeva  il nero paesaggio della grotta.  Il ragazzo si fece più vicino e incominciò a seguirne le linee con le dita, quando si accorse che all’incrocio dei bracci era incisa una parola. Avvicinò la fiaccola e la illuminò <<Deneb>>lesse.  Subito le dita corsero sulla schiena, verso il fodero del pugnale che lui e suo fratello si erano regalati anni prima. Lo fece scivolare fuori dal cuoio con delicatezza e lo strinse nella mano. La lama era ricavata da una croce d’argento e lungo l’elsa correva il nome di Alcor.
<< Deneb>>ripetè . Suonava familiare. Qualcosa scattò .
 << Le croci gemelle>> mormorò, senza sapere cosa  significasse veramente. Improvvisamente un idea gli fulminò la mente. Pose il pugnale contro la roccia e lo allineò alla croce bianca.
<< Alcor!>> Scandì.
Un rumore di rocce franate riempì l’aria e un angusto spiraglio di luce comparve lungo la croce bianca.
Mizar rinfoderò il pugnale e pose le mani contro la pietra. Con il cuore in gola spinse i battenti ed entrò.
Le porte si aprirono scivolando lentamente e senza alcun rumore. Mizar mosse qualche passo incerto nell’ombra, alzò la torcia e illuminò l’ambiente.  Ciò che vide lo lasciò senza fiato. Centinaia, forse migliaia di colonne granitiche correvano lungo tre immense navate, su ognuna di esse brillava una fiaccola accesa. Possibile che nessuno si fosse accorto di una simile costruzione? Infine la curiosità lo spinse vicino ad una delle grandi finestre.
Il suono sordo del legno contro la pietra vibrò nell’aria tiepida.
<< E’ sotto il lago…>>mormorò mentre la torcia gli scivolava via dalle dita e finiva sul pavimento .
<< Si.>> Disse una voce << Siamo sotto il lago.>>
MIzar si girò di scatto, portando istintivamente una mano dove avrebbe dovuto esserci l’elsa della sua spada. Le dita toccarono solo il fodero inutilmente vuoto . Davanti a lui, a una decina di metri di distanza c’era suo fratello, avvolto in un mantello color pergamena, la spada già sguainata in una mano, i sottili coltelli da lancio nell’altra.
<< Alcor>>disse indietreggiando lentamente. Sapeva che in un corpo a corpo il fratello lo avrebbe abbattuto senza difficoltà.
<< Mizar>> rispose l’altro giocando con le lame tra le dita. Sembrava quasi che si stessero salutando pacificamente come due fratelli che non si vedono da qualche ora. Entrambi si guardavano negli identici occhi color ghiaccio, cercando di carpire i segreti l’uno dell’altro.
Poi la magia si spezzò e il primo coltello vibrò minaccioso nell’aria. Mizar scartò velocemente e si tuffò a terra, scivolando verso la colonna più vicina.
<< Sempre il solito, Mizar,>> lo schernì << Sei venuto a uccidermi senza alcun’arma, senza nessuna corazza.>> Il secondo coltello fischiò a poca distanza dall’orecchio di Mizar <<Pensi di ammazzarmi a parole,forse?>> rise.
Mizar ormai toccava la colonna con le spalle, si alzò in piedi e nascose le mani dietro la schiena. Rimaneva un solo coltello tra le mani di Alcor. Il ragazzo tastò il marmo freddo finchè non trovò ciò che cercava. Il fratello Lanciò l’ultima lama che gli rimaneva con tanta forza da farlo fischiare nell’aria. Mizar lo guardò avvicinarsi sempre più al suo volto. Chiuse gli occhi d’istinto, mentre staccava la fiaccola dalla colonna e la scagliava con tutte le sue forze contro il coltello. La lama si infisse in profondità e una lunga spaccatura comparve lungo il ciocco di legno, che rotolò ai suoi piedi. Lo alzò veloce con il piede ed estrasse il pugnale dorato. Soltanto per un istante vide i suoi occhi riflessi in un mondo  senza colori.
<< Questi trucchetti non ti fanno onore, fratello.>>Sibilò Alcor << Dopo tutti questi anni mi affronti senza una spada perché sai che non avresti la forza di uccidermi >> Ogni parola la voce saliva di tono .Alcor prese la spada a due mani e si lanciò contro il fratello. Alla primo colpo la piccola lama dorata si frantumò in mille pezzi  e la punta della spada gli passo fulmina sotto l’occhio sinistro, disegnando una linea di sangue lungo la guancia, fino all’orecchio.
 <<Cerchi di evitare il momento in cui mi dovrai guardare negli occhi mentre mi punti una lama alla gola!>>
Alcor roteò la spada dietro le spalle e colpì dall’alto. Mizar strinse la fiaccola tra le dita e vibrò un colpo contro il piatto della lama, prima che colpisse. Il fratello perse l’equilibrio e scartò di lato. Il ragazzo ne approffitò: stacco un'altra fiaccola dalla parete e con la fiamma riaccese l’altra che stringeva in mano.  Il ragazzo scattò verso il fondo della sala facendo frusciare il mantello  alle sue spalle.  Mizar guardò suo fratello saltare agile su un altare di marmo bianco e brandire la spada a due mani, l’elsa sollevata all’altezza degli occhi. SI piegò sulle ginocchia e saltò.
Mizar roteò le fiaccole, preparandosi all’impatto. Le torce colpirono la lama in due punti differenti, una più in alto dell’altra. La spada roteò lontana e il clangore del ferro contro il marmo risuonò nella navata.  Sovrastava il fratello, le mani intorno alla sua gola.
<< Dopo tutti questi anni>> sibilò<< sono venuto disarmato perché sapevo che se ne avessi avuto la possibilità, ti avrei ucciso!>>
  << Non hai mai avuto la possibilità di farlo.>> sibilò il fratello << Non l’avrai mai.>>
Mentre Alcor parlava, alle sue spalle apparvero figure indistinte. Ombre nascoste dalle colonne, Mizar ne scrutò le sagome e le forme muscolose e al tempo stesso sottili come fuscelli.
Elfi.
Uno di loro mosse un passo verso il centro della cattedrale, portandosi alla luce delle torce.
Mizar sorrise, guardandolo.  Portava i capelli scuri raccolti in una coda dietro la testa. Una maschera argentea  dalle forme di  lupo gli celava il volto e lasciava intravedere soltanto gli occhi ambrati di colui che la portava. In entrambe le mani stringeva  ricurve daghe affilate. Mizar tirò un sospiro di sollievo. Erano di fattura elfica. Non avrebbero potuto ferilo.  Proprio mentre la speranza in lui prendeva vita , sentì gorgogliare una risata nella gola del fratello sotto le sue braccia.
<< Fratello mio>>  urlò nella cattedrale << ciò che pensi è vero!>>  Mizar sentì un  brivido gelato percorrergli la schiena.  Non aveva intenzione di uccidere il fratello.<< Un arma forgiata dagli elfi non può ferire il tuo corpo, ne può ucciderlo!>>
Altri guerrieri  si rivelarono , portandosi alla luce.
<< Una arma forgiata dagli elfi imprigiona la tua anima>>
Mizar sentì il sangue gelarsi nelle vene.  Cercò gli sguardi degli elfi e trovò conferma alle proprie paure.
I mantelli scarlatti degli arcieri si agitarono nell’aria, mentre incoccavano la frecce e sollevavano l’arco di  acero scuro. Ognuno di loro portava una maschera diversa.  Prima della fine Mizar riconobbe una volpe bianca, un orso delle foreste, un corvo del Nord. Tutti e tre annuirono.  << Se ti arrendi ora, Alcor, ti lascierò vivere.>> sussurrò.
<< Addio, fratello mio>>  gorgogliò l’altro in risposta. Gli elfi  tesero le corde nello stesso istante, con una tecnica affinata dai secoli di duri allenamenti.
Mizar  abbassò gli occhi a terra ed allentò la presa.  sfoderò il pugnale con cui aveva aperto il passaggio nella grotta e fissò la luce che splendeva sulle lettere che formavano il nome di suo fratello.
Chiuse gli occhi e si alzò in piedi.
Il pugnale cadde in terra con un clangore metallico.
Subito dopo, molti sibili silenziosi lo seguirono.
Un gemito colmò l’aria pesante della cattedrale, ed una lacrima solitaria rigò la guancia di un uomo rimasto solo alla luce del fuoco. Egli guardò il fratello riverso in terra, gli occhi spenti fissavano il pugnale e rimandavano l’immagine di un uomo morto che guardava il suo nome.
Gli uomini si tolsero le maschere argentee e si inginocchiarono. Il ragazzo li congedò con un cenno della mano.  << Ti ho dato la possibilità di arrenderti.>> sussurrò
<< Addio,fratello>>.