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Un caloroso benvenuto a tutti voi, avventori del mio blog. Qui potrete trovare le storie ed i racconti che scrivo, le idee, i pensieri e tutto ciò che riguarda la mia attività di scrittore, in particolare testi di genere fantasy e fantascientifico. Spero che ognuno di voi lasci un commento, una sua impressione, un semplice apprezzamento, una critica o qualsiasi altro parere si senta di dare.
Buona lettura!

venerdì 15 aprile 2011

La leggenda del cacciatore.

Questo è un racconto piuttosto recente, il genere è fantasy, non è ancora concluso.



Rigel si muoveva in silenzio, con circospezione, ignorando  il tanfo che impregnava l’aria. Svoltò nella fetida stradina seminascosta dalla notte , attenta che nessuno la seguisse. Funghi e muffe si rincorrevano lungo le vecchie pareti di mattoni, fino ai tetti delle case distrutte dalle intemperie. Un calcinaccio si staccò e cadde rumorosamente in terra, frantumandosi in mille schegge affilate.  La ragazza evitò i cocci e giunse in fondo alla strada. La sudicia porta che aveva inseguito per mezza città la attendeva semi scardinata e per una buona metà intaccata dalle tracce del fuoco. Vi pose una mano sopra e si sorprese nell’accorgersi che tremava. Una volta entrata i cacciatori avrebbero saputo chi era e cosa aveva intenzione di fare. Sapeva bene di aver scelto la via più veloce, e con essa i pericoli che comportava un incursione diretta.  Poi, all’improvviso, una fitta lancinante gli attraversò la testa da una tempia all’altra, come se una saetta l’avesse colpita. La vista gli si appannò e la stradina  avvampò di luce bianca. La ragazza si costrinse a rimanere in piedi, ignorando il dolore. Aveva il fiatone. Gocce di sudore le attraversavano il viso, miste alle lacrime che le rigavano le guance. Una gocciolina cadde a terra. Si portò le mani alle orecchie, ma fu inutile.
Il rumore fu assordante. Come se un intera tribù battesse i tamburi nelle profondità di una gola. Il rimbombo la stordì e cadde in ginocchio, mentre il cielo scuro lasciava scappare un fulmine dalle sue terre.
La ragazza strinse i denti e tremò di paura mentre il suono le scuoteva le ossa .  Per parecchi minuti rimase ansante sdraiata nella polvere, mentre si stringeva il braccio sinistro al petto. Quando sentì di potersi rimettere in piedi, si esaminò il braccio con aria esperta. Una lunga fasciatura  bianca correva lungo tutto l’avambraccio e saliva fino alla spalla, macchiata da un alone scuro e umido. La ragazza ci fece scivolare sopra il dito e lo ritrasse di un colore simile al tramonto del sole sul mare. Si alzò in piedi e  lasciò cadere la manica. Respirò profondamente, ignorando l’odore di marcio che inalava ogni volta. Pose la mano sopra la porta, e questa volta entrò.
La accolse una stanzetta buia e spoglia, senza finestre. Un unico tappeto marcio colorava l’oscurità con una sfumatura rosso scuro. La ragazza strizzò gli occhi per abituarsi al buio e scorse un uomo seduto su un vecchio sgabello tarlato, appena prima di una porta in condizioni non migliori di quella d’ingresso. L’uomo sussultò e si tirò su poggiandosi su qualcosa che Rigel non fu in grado di riconoscere, probabilmente un bastone. –Vieni. -  sussurrò con una voce cavernosa, facendole cenno di avvicinarsi con la mano – vieni da me…
La ragazza decise che doveva essere molto anziano: Non avrebbe potuto farle nulla, neanche nelle sue condizioni. Mosse qualche passo verso di lui , mentre il vecchio frugava nelle tasche in cerca di qualcosa. Quando ormai l’aveva raggiunto l’uomo estrasse dalle pieghe della veste un grosso mazzo di chiavi in ottone e incominciò a trafficare con la serratura della porta. Solo allora Rigel si accorse che si era alzato poggiandosi su di una vecchia spada rugginosa .
- Vieni- ripetè  – entra, entriamo-.  La ragazza varcò la soglia per prima e si ritrovò in un ambiente ancora più buio. Il vecchio zoppicò oltre la porta e la  richiuse dietro di se, chiamando il suo padrone a voce così bassa che Rigel non distinse le parole. Come dal nulla due macchie grigie apparvero nell’ombra, Immobili come due stelle nel cielo. Poi il vecchio parlò
- Questa è Rigel , padrone. Figlia di Edhel e Uria.
La ragazza sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene.
- Come lo sai?- lo aggredì- Che cosa sei?-
- Io sono solo un vecchio. – replicò- Ma so cosa desideri, sento ciò che pensi nella mia testa , nella mia testa. Lo sento.
- Sei un rinnegato.
- Lo sono. E tu lo sapevi da quando hai accettato di venire qui. Lo sapevi da prima. Lo sono. Lo sapevi.- gracchiò-
La ragazza si costrinse a non scattare verso di lui con in mano un pugnale. Non era possibile discutere con qualcuno che conosceva tutte le risposte in anticipo, ed era quasi certa che la vecchiaia  gli giocasse qualche brutto tiro, a giudicare da come ripeteva spezzoni della stessa frase. Voltò la testa verso le due macchie grigie, sforzandosi di capire se fossero un gioco di luce oppure no.
- Non lo sono. Non lo sono- rise il vecchio. Solo allora Rigel capì che erano occhi.
- Occhi che da molte lune non vedono più. Occhi da lupo che non vedono, che non seguono più la preda tra le ombre della foresta!  L’orgoglio è morto. L’onore con lui! Soltanto la vista che più non vede vuole curare il mio signore.- cantilenò.
La ragazza distinse allora le forme dell’uomo a cui appartenevano gli occhi da lupo.
- Il mio signore chiede se hai portato la maschera.- disse il vecchio – Se hai con te ciò che chiede come prova di chi sei stata.
Rigel si portò una mano dietro la schiena e slegò i lacci che tenevano legata una maschera al suo corpo. La rimirò per un attimo tra le mani, perché perfino in quel buio l’argento splendeva come di luce propria.
Il vecchio scattò per prenderla ma la ragazza gli mise una mano sul petto e lo spinse indietro con tanta forza che l’uomo cadde e rotolò in terra tra mille svolazzi del mantello.
- Perché la vuoi?- chiese all’uomo cieco
- No, mia signora. No. Il padrone non parla. Non più.- replicò il vecchio alzandosi a fatica
- Perché?
- Il padrone non può!- rise- Il padrone ha scelto di non parlare mai più! Non con la nostra voce! Sarò io a parlare per lui!
Rigel si avvicinò all’uomo e gli porse la maschera dalle fattezze di lupo, aspettandosi che la prendesse.
- Non può ! Non può! Al traditore è proibito toccare.- strillò il vecchio, mentre la ragazza riabbassava la mano e si portava la maschera sul fianco.
- Io so cosa cerchi- disse il vecchio. Questa volta Rigel seppe che non era lui a parlare, ma l’uomo cieco. – E posso indicarti la via. Tu voi entrare nell’Ordine.
-Si. È questo che voglio.- ammise lei.
- E sai quali scelte comporta?- chiese- No?
La ragazza rimase in silenzio, mentre guardava quegli occhi grigi che non potevano vederla.
- Molte lune fa io ero un cacciatore, uno dei migliori guerrieri dell’esercito, un mercenario votato alla guerra e a nient’altro. Avevo perso la mia famiglia a causa della peste e credevo di non avere più niente da perdere. Mi restavano soltanto la guerra e la spada, perché non sapevo fare altro. Combattei finchè non diventai il migliore e il Re mi mise a capo del suo esercito. Ma il vuoto che avevo nel cuore non si colmava ancora: avevo bisogno di uccidere, di fare del male al mondo intero ,che mi aveva portato via tutto ciò che amavo. Così decisi di fare ciò che tu stai per chiedermi. Andai dall’Ordine e chiesi di essere ammesso.
Sostenei la prova: ritornai dalla foresta vittorioso e scelsi il mio premio come ogni uomo è degno di fare.
Sai di cosa sto parlando?
La ragazza annuì. Sapeva che avrebbe dovuto sostenere una prova, ma le sue conoscenze finivano li.
- E sai a che prova mi riferisco?.
Stavolta Rigel mosse la testa in un cenno di diniego, e una risata soffocata riempì l’aria attorno a loro. Il vecchio rovistò freneticamente in una vecchia sacca di cuoio bollito gettata in un angolo e ne estrasse cinque pietre grigie e levigate che dispose in un arco intorno a loro.
- Cosa fai?- chiese la ragazza, sospettosa, mentre l’uomo continuava ad aggiustare le pietre e a tracciare simboli astrusi con quella che sembrava una coda di volpe.
 Il vecchio rispose senza quasi respirare - Traccio il destino signora, il primo rito, la prima scelta che il caso reclama di sua proprietà, la prima parte della prova che la signora dovrà affrontare se vuole diventare un cacciatore.
All’improvviso l’uomo si immobilizzò, come se avesse visto qualcosa di spaventoso; poi scrollò la testa e l’uomo cieco riprese a parlare attraverso di lui – Ogni rituale è composto da tre parti. Il primo viene compiuto dal destino e non  abbiamo alcun potere su di esso. Ogni Mago affida la sua vita al caso quando adopera la sua forza e non può fare altrimenti; Il secondo è compiuto dalla natura, che deve acconsentire alle preghiere del misero uomo che intende sfruttarsi di lei e accettare il  dono che il mago le offre; Il terzo è compiuto dal Mago, che deve saper contenere le forze del caso e del creato il più possibile, in modo che il rito si compia nella quantità e nella direzione da esso desiderata.
La ragazza annuì. Questo lo sapeva.
- Per diventare un cacciatore- esordì l’uomo- devi affidare la tua vita al caso. Devi fidarti di ciò che Dio ha in serbo per te e devi accettare qualunque cosa ti venga imposta.
Per la prima volta l’uomo cieco si alzò e zoppicò fino al margine del cerchio di pietre appena creato. Si inginocchiò lentamente e pose la mani a terra, interrompendo la linea bianca che univa le due pietre più vicine . Cinque archi scarlatti illuminarono la stanza buia , ferendo gli occhi della ragazza che si sforzava di guardare in volto l’uomo che non poteva più parlare ne vedere. Era giovane. Lunghi capelli neri gli danzavano intorno al viso bruno e grandi tatuaggi si intrecciavano intorno alla linea delle labbra, sulla fronte, sugli zigomi alti e fieri fino a raggiungere le spalle possenti. Poi la sua attenzione si concentrò sulle soglie di luce intorno a lei.
- Cinque cacciatori regnano sulla nostra terra. Cinque anime fiere che vivono oltre queste porte: Lupo , Aquila, Falco, Orso, Orca.  Tu dovrai sceglierne una soltanto.
La ragazza fissò i grandi occhi grigi dell’uomo e pur sapendo che non potevano vederla capì che lui sapeva che lo stava guardando. Non era un semplice uomo: era un cacciatore del Lupo.
La ragazza passò in rassegna i cinque archi perfettamente identici e comprese che avrebbe dovuto scegliere ad occhi chiusi.
- Chiunque saprebbe scegliere sapendo qual è la strada che percorrerà, ma solo un vero cacciatore sa seguire il suo istinto senza dubitarne.- annunciò l’uomo Lupo, confermando la sua idea. – Scegli , adesso.
Rigel incassò il primo colpo, scoprendo che nessuna delle porte le procurava stimoli particolari o sensazioni differenti. Era il segno che lei non era pronta per essere un cacciatore? O  forse nessuno sentiva ancora nulla a quel punto del rito? Dopo parecchi minuti di angoscia, passati nel cercare di cogliere un segno, una figura tra le ombre scarlatte o una luce particolare si rassegnò e ne scelse una a caso, portandosi appena prima della soglia rossa. L’uomo Lupo annuì, come in segno di approvazione. Rigel incominciò a tremare.
-Ora attraverserai quella porta e ti troverai nel regno del cacciatore che hai scelto. Ciò che devi fare è trovarlo e  catturarlo, ma senza ucciderlo. Dovrai riportarlo qui senza far cadere una goccia del suo sangue. Se lo farai, lo saprò.- sussurrò il vecchio con la sua voce cavernosa. La ragazza mosse un passo e poggiò il piede oltre lo specchio di luce rossa. Era liquido e appiccicoso.
-Rigel.-  la chiamò . Lei si voltò verso di lui,sperando in qualche altra informazione che le fosse utile, un consiglio, un indizio.
- E’ la tua unica occasione per diventare un cacciatore.
- Cosa  succederà…se dovessi fallire?
- Non potrai più tornare indietro.- le mormorò il vecchio quasi con dispiacere, mentre le labbra dell’uomo Lupo si stringevano in segno di disapprovazione. Quale dei suoi amici aveva fallito? O forse era lui stesso ad aver infranto il rituale rimanendo cieco e muto?
La ragazza si fece coraggio e  alzando fiera lo sguardo verso l’ignoto, mosse un passo in avanti.
Rigel rabbrividì, mentre il liquido rosso e gelato le si appiccicava addosso, facendo presa sulle braccia nude dai gomiti  fino alle spalle, sui vestiti e sul viso. Chiuse gli occhi e trattenne il fiato, escludendo l’aria densa e rarefatta che si respirava li. Poi sentì caldo e il liquido scivolò via, rimanendo nel suo regno di ghiaccio mentre lei veniva catapultata nel mondo reale. La ragazza scorse un cielo nero, spezzato da fiotti di luce grigia e smorta. Poi qualcosa la colpì in testa e il cielo scese su di lei,  avvolgendola come un mantello.
Rigel abbassò lo sguardo sul braccio destro. Uno strano marchio circolare si dipanava in mille bracci differenti e in ogni direzione, allargandosi sempre più, risalendo la sua pelle nuda fino alla spalla e scomparendo sulla schiena, per poi ricomparire sul collo e da li su fianco sinistro fin sotto il seno piccolo e sodo, appena sotto il cuore. Seguì  con gli occhi le linee taglienti e spigolose fino al palmo della mano chiusa a pugno, finchè scoprì che stringeva qualcosa. Una goccia scura sfuggì alla sua stretta e le colò lungo il polso.
La ragazza aprì la mano, e si svegliò.
Odore di terra, freddo e pungente. Vento  sulla pelle nuda, gelo lungo la schiena. Aprì gli occhi lentamente, analizzando il mondo sfocato intorno a lei, colorato di tonalità scure e glaciali. Suoni di alberi che frusciano, e di prede che corrono lungo l’argine del grande ghiaccio poco distante.
La ragazza si alzò in piedi tremante, stagliandosi nella nebbia d’argento che avvolgeva ogni cosa.  Si portò una mano alla nuca, ma non trovò nulla. Niente sangue, ne gonfiori. Aveva immaginato anche il colpo alla testa? Il filo dei suoi pensieri si perse nel suono ritmico delle zampe che battevano la terra ghiacciata. Ma lei come faceva a saperlo?  Rigel cercò di riprendersi e controllò se quel poco che aveva portato con se era ancora al suo posto. Poi sentì qualcosa. Un odore, come di marcio. Un odore forte e sgradevole si muoveva sempre più veloce nella sua direzione. Alla fine si arrese e smise di cercare di ignorare ciò che sentiva. Chiuse gli occhi e si lasciò andare al solo olfatto.  Un senso di oppressione allo stomaco, di confusione, aleggiava nella notte mentre le prede correvano tra i tronchi dei grandi alberi verso di lei, sempre più vicine, sempre più in fretta. Ma poi colse nell’aria una leggera sinfonia di odori caldi e rassicuranti , e in contrapposizione a questi nuovi stimoli riuscì a capire. Tremò quando comprese di sentire l’odore della paura. Poi aprì gli occhi e vide il cacciatore volare nell’aria verso di lei. Respinse il primo impulso di combatterlo e si lasciò cadere a terra in ginocchio con la massima rapidità possibile, sperando di evitarlo.
Il lupo balzò oltre e ricadde all’estremità della radura con una grazia stupefacente, riprendendo a correre nel istante stesso in cui toccava il suolo . Rigel si alzò in piedi, raccolse le forze e incominciò a correre tra gli alberi , lontano da qualsiasi cosa fosse in grado di spaventare il più fiero cacciatore della foresta. Corse oltre le rocce e i tronchi caduti, tra le radici e le spine, ignorando i graffi sui polpacci. Corse finchè non le si parò davanti il maestoso spettacolo di un lago di ghiaccio in tutto il suo bianco splendore. Si fermò , senza fiato , sull’argine estremo di una collinetta di roccia circondata dalle acque di pietra. Lontana dal pericolo la ragazza di lasciò cadere a terra una seconda volta, stremata. Cercò di placare il respiro affannoso pensando ad altro, ma rivide soltanto se stessa nella radura, poco prima di riconoscere l’odore intenso della paura del lupo. Si portò le mani alla testa e tentò di tenere a bada le informazioni che sembravano sbattere con tutte le forze  contro le ossa dentro al cranio. Il suo cacciatore era il lupo. Aveva perso i sensi senza un motivo apparente, sognandosi nuda e ricoperta di strani marchi neri sulle braccia e sul corpo, mentre stringeva in mano qualcosa che non conosceva.  Svegliandosi aveva avvertito la paura del cacciatore nell’aria  e il suono delle sue zampe che correvano veloci nella foresta.  Una lacrima solitaria le rigò la guancia e cadde a terra.
Rigel strinse gli occhi e ricacciò indietro il timore, sforzandosi di ragionare. Poi, all’improvviso, si accorse di avere qualcosa nel pugno.
non è possibile. 
Lentamente dischiuse le dita, mentre una luce bianca e pura filtrava da ogni vuoto e gocce di sangue le correvano lungo il polso. All’estremità di ogni dito le unghie si erano allungate a dismisura, diventando lunghe e ricurve come quelle di un lupo, fino a lacerare la carne del palmo, che ora era costellata da piccole stelle rosse e scure.

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